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Coronavirus, 200.000 persone depresse in più a causa della crisi economica

17/6/2020

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I dati della Fondazione Onda-Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere

IN POCHI ATTIMI il virus si è portato via tutto: sogni, desideri. C'è chi ha dovuto tirare giù per sempre la saracinesca del negozio o del ristorante avviato dopo anni di fatica. Chi non è mai tornato in azienda perché è stato licenziato o chi si trova in cassaintegrazione. Da situazione il passo che porta alla depressione è breve. Molti non ce la fanno e si ammalano. Oggi in Lombardia, la regione più colpita dalla pandemia, si stimano oltre 150.000 persone con depressione maggiore. Un problema globale tanto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che l’emergenza Coronavirus riguardi anche la salute mentale.
“L’emergenza sanitaria prolunga la sua ombra sul benessere psicologico delle persone, con effetti a breve e a lungo termine i cui esiti si potranno vedere anche nei prossimi anni”, spiega Claudio Mencacci, Direttore Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale, ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano. "Nell’arco di qualche mese si è verificato, infatti, un aumento dei sintomi depressivi nella popolazione a causa della concomitanza di più fattori di rischio quali distanziamento sociale, solitudine, paura del contagio ed evitamento, ma prevediamo anche una crescita delle depressioni dovuta da un lato alle conseguenze di una serie di lutti complicati e dall’altro dall’imminente crisi economica". 

L'economia
L'economia ha un ruolo importante in questo contesto. "Basso reddito e aumento della disoccupazione determineranno, secondo diversi studi, un rischio 2-3 volte superiore di ammalarsi. In particolare, la disoccupazione generata dalla crisi economica potrebbe determinare un aumento dai 150-200.000 casi di depressione, pari al 7% delle persone depresse. Con queste prospettive il numero di depressi si appresta a raggiungere quello di malati di diabete in Italia, con un maggior impatto della depressione sia a livello economico sia sulla qualità di vita", spiega Mencacci.

La depressione è riconosciuta dall’Oms come prima causa di disabilità a livello mondiale e riguarda circa 3 milioni di italiani, di cui circa 1 milione soffre della forma più grave, la depressione maggiore. Da una stima dei dati Istat, oltre 150.000 persone soffrono di depressione maggiore in Lombardia. Tra questi 21.000 non rispondono ai trattamenti, secondo la rielaborazione su base regionale dei dati dello studio epidemiologico italiano Dory, volto a identificare i pazienti affetti da depressione resistente attraverso un’analisi di database amministrativi.
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​Togliere lo stigma

Istituzioni e rappresentati locali a livello medico, assistenziale e sociale stanno cercando di capire come affrontare la malattia, superare lo stigma associato alla depressione, facilitare l’accesso alla diagnosi e alle cure più appropriate.  Fondazione Onda-Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, ha organizzato una serie di incontri a Milano sul tema. Tavole rotonde che fanno parte del percorso di sensibilizzazione per presentare il Manifesto Uscire dall’ombra della depressione, ma anche del Libro bianco sulla salute mentale in Italia. Iniziative realizzate con il patrocinio di Regione Lombardia, delle società scientifiche Sip - Società Italiana di Psichiatria e Sinpf - Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, di Cittadinanzattiva e Progetto Itaca, ed è stata organizzata con contributo incondizionato di Janssen Italia.

I costi della malattia
"I costi diretti non sono l’unico tassello da tenere in considerazione se si vuole cogliere il peso economico e sociale di questa patologia. I costi indiretti (sociali e previdenziali) la fanno da padrone rappresentando il 70% del totale dei costi della malattia - spiega Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria e Direttore del Eehta del Ceis dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. “Basti pensare ai costi previdenziali legati all’elevato numero di giorni di assenza dal lavoro causato dalla depressione maggiore, alla perdita di produttività legata al presenteismo. Visto l’incremento previsto del numero delle persone con depressione in seguito alla pandemia di Covid-19, il peso economico della malattia è destinato ad aumentare".
Anche il costo legato agli assegni ordinari di invalidità e alle pensioni di inabilità, che si aggira intorno ai 106 milioni di euro, pari a 9.500 euro annui a beneficiario, rientra tra quelli indiretti legati alla malattia. In Lombardia, secondo un’analisi dell’Eehta del Ceis (Economic Evaluation and HTta Ceis) basata su dati del 2015, tali prestazioni di invalidità previdenziale vengono concesse a 1,3 persone con depressione maggiore ogni 100.000 abitanti. Analizzando la situazione per provincia, a Cremona sono state accolte 2,8 domande di invalidità previdenziale, a cui segue Como con 2,7, Varese con 1,8, Mantova con 1,5, Bergamo con 1,4, Pavia con 1,1, Milano e Brescia con 1,0 e infine Sondrio con 0,0 ogni 100.000 abitanti.
"Questi dati testimoniano che stiamo parlando di una malattia fortemente invalidante, che impatta in maniera significativa sulla vita dei pazienti e della società, da molteplici punti di vista - conclude Mennini -. Gestire il paziente in una fase precoce della malattia consente non solo un miglioramento della sua qualità di vita, ma anche una riduzione dell’impatto dei costi per il sistema sanitario e sociale".

Articolo di di VALERIA PINI, tratto da Repubblica.it 
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