Il presidente dell’Ordine David Lazzari: «Nell’ultima rilevazione (Piepoli) ansia elevata per alunni e professori» «Si è pensato solo e soprattutto ai banchi e ai pulmini. Ma la scuola non è una catena di montaggio, è un luogo di relazioni e di emozioni». Nel fatidico giorno del ritorno in classe dopo sei mesi, il presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi David Lazzari interviene ricordando quanto sia difficile la ripresa. Dimostrata anche dai numeri: in un report dell’Onu, nell’indagine che riguarda la popolazione italiana, risulta che in 8 casi su 10 si sono rilevati problemi di concentrazione nei ragazzi, e in 4 su 10 problemi di ansia. Non solo: «Nella nostra ultima rilevazione, che facciamo periodicamente come Ordine, insieme all’istituto Piepoli sui livelli di stress, a settembre il 34% della popolazione, dato che riguarda anche Roma, presenta stress elevato: sempre 10-15 punti sopra rispetto quella che è la media normale». Quindi «noi psicologi siamo decisamente preoccupati», spiega David Lazzari, «perché i dati ci dicono che torna in classe una popolazione stressata, sia studenti che docenti. Così a queste persone “stressate” si sta chiedendo di mettersi alla prova in maniera importante e di affrontare una situazione difficile e complessa: oltre al normale processo di apprendimento, ci sono i timori legati al contagio e ai processi relazionali, che, soprattutto negli adolescenti sono molto delicati perché vivono in maniera molto intensa il giudizio del gruppo, con un grandissimo bisogno di conformarsi». E si passa quindi al delicato compito di insegnanti e genitori: come si dovrebbero comportare? «Da parte dei docenti c’è la necessità di far rispettare le regole ma anche di attivare processi relazionali non sempre facili», risponde David Lazzari: «Sentire le paure loro ed anche quelli dei ragazzi. Tutto questo richiede un equilibrio molto delicato. Per questo dico di creare un clima di alleanza e di cooperazione. I comportamenti non dipendono da regole astratte ma da come percepiamo le cose e dai nostri vissuti». Quanto ai genitori «il consiglio è di porsi più del solito in un atteggiamento di dialogo e di ascolto dei figli, affinché non si vergognino di tirar fuori le loro preoccupazioni ed i loro timori. E, soprattutto per i più piccoli, trovando un linguaggio adatto alla loro età nello spiegare il perché delle regole di protezione. Ma quando vedono che c’è un disagio eccessivo chiedano aiuto ad un esperto».
Proprio per questo il presidente dell’Ordine degli Psicologi richiede che venga attuato con urgenza l’accordo tra governo e sindacati del 6 agosto dove si parla di dotare gli istituti di competenze psicologiche. «È un discorso è di grande urgenza altrimenti la scuola rischia di essere un ulteriore incubatore di disagio. Si deve ricorrere all’aiuto dello psicologo in maniera non episodica ma sistematica». Di Lilli Garrone, tratto da corriere.it
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A un mese dalla guarigione, il 56% di chi ha ricevuto trattamenti ospedalieri per Covid 19 soffre di ansia, depressione o stress post-traumatico. C'è urgente bisogno di seguire, valutare e curare anche i guariti da Covid 19: secondo uno studio condotto dal San Raffaele di Milano, oltre la metà delle persone che hanno ricevuto una qualche forma di trattamento ospedaliero per CoViD-19 riporta almeno un sintomo di disturbi come ansia, depressione, stress post-traumatico, insonnia o altre manifestazioni. La storia personale di ciascuno, la durata del ricovero e anche il genere del paziente influiscono sull'entità di questi strascichi, che vanno trattati prima che possano degenerare in condizioni croniche fortemente debilitanti. TRACCE PERSISTENTI. I ricercatori hanno indagato sulla presenza di sintomi di natura psichiatrica in 402 persone dell'età media di 58 anni guariti dal Covid, 265 dei quali uomini. Per 300 pazienti si era reso necessario il ricovero in ospedale, mentre un centinaio era stato seguito dai medici dell'ospedale nelle proprie case. Le valutazioni sono state condotte attraverso colloqui clinici e questionari di autovalutazione. Il 56% dei soggetti seguiti ha riportato un punteggio clinico compatibile con almeno un disturbo mentale: stress post-traumatico nel 28% dei casi, depressione nel 31%, ansia per il 42% degli intervistati. Il 40% ha dichiarato di soffrire di insonnia, il 20% ha manifestato i sintomi di un disturbo ossessivo-compulsivo (caratterizzato da pensieri intrusivi, oltre a comportamenti rituali e ripetitivi). CHI SOFFRE DI PIÙ. Le donne sembrano più soggette alle conseguenze psichiatriche della malattia, nonostante siano in genere colpite da forme meno gravi dell'infezione: «Questo conferma quello che già sapevamo, ossia la maggiore predisposizione della donna a poter sviluppare disturbi della sfera ansioso-depressiva, e ci conduce a ipotizzare che questa maggiore vulnerabilità possa essere dovuta anche al diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate e adattive», spiega Francesco Benedetti, psichiatra che coordina l'Unità di ricerca in Psichiatria e psicobiologia clinica dell'IRCCS Ospedale San Raffaele.
Chi aveva già alle spalle una storia di diagnosi psichiatriche ha visto questi sintomi peggiorare. Ma il dato forse più sorprendente è che i pazienti assistiti nel proprio domicilio sono risultati soffrire più degli altri di ansia e disturbi del sonno, mentre la durata del ricovero è inversamente proporzionale a sintomi di stress post-traumatico, depressione, ansia e disturbi ossessivo-compulsivi. Il team spiega così questo aspetto: «Considerando la maggiore gravità del Covid nei pazienti ospedalizzati, le osservazioni suggeriscono che un minore supporto sanitario - che è ciò che è successo ai pazienti seguiti a casa - potrebbe aver aumentato l'isolamento sociale e la solitudine tipici della pandemia». Si conferma quindi l'importanza della presenza del personale (medico, infermieristico e di supporto) per lenire la solitudine e il senso di spaesamento tipici del Covid. LE CAUSE. All'origine dei disturbi potrebbero esserci gli stati infiammatori associati alla malattia e legati alla risposta immunitaria dell'organismo. È noto infatti che gli stati infiammatori, anche conseguenti a infezioni virali, sono fattori di rischio per disturbi come la depressione. Ma un impatto importante potrebbero averlo avuto anche fattori sociali, come lo stress psicologico associato a una condizione sconosciuta e potenzialmente letale, l'isolamento forzato da parenti e personale medico, la paura di trasmettere il virus ad altri, il pregiudizio che purtroppo sempre ruota attorno a chi è malato. Di Elisabetta Intini. Tratto da www.focus.it |
AuthorCarmen Furci Archives
Dicembre 2020
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