SIAMO SECONDI IN UE PER TRISTEZZA QUOTIDIANA. IL LAVORO NON PUÒ ESSERE LA VITA, SERVE ALTRO.1/12/2022 Siamo secondi in Europa per tristezza percepita durante il giorno. Prima di noi, solamente Cipro del Nord, un’entità secessionista turco-cipriota non riconosciuta dalla comunità internazionale. È quanto emerge dal report State of the Global Workplace 2022 realizzato da Gallup, società di analisi e consulenza, che ha studiato lo stato dei lavoratori a livello mondiale, facendo riferimento in particolar modo a stress, rabbia e tristezza percepite durante il giorno, al coinvolgimento dei dipendenti rispetto alle proprie mansioni e alla consapevolezza delle attuali difficoltà del mercato del lavoro.
Stando alla classifica, il 27% degli italiani intervistati ha affermato di percepire molta tristezza durante le proprie giornate. L’Italia risulta in top ten anche per quanto la rabbia e lo stress, mentre è ultima in Europa per il sentimento di coinvolgimento sul lavoro: solo il 4% ha risposto affermativamente. Negli ultimi anni abbiamo cambiato modo di vedere e immaginare il lavoro. Il mito del giovane dedito anima e corpo alla propria carriera lavorativa sembra essersi indebolito, a causa in primo luogo della rottura dell’ascensore sociale – quel meccanismo che permette di migliorare le proprie condizioni di vita attraverso lo studio, l’impegno e il lavoro. La società industriale prima e quella post-industriale poi sono infatti state caratterizzate dalla riduzione della vita umana alla dimensione lavorativa. La dimostrazione è che la carriera funge da primo (se non unico) vettore d’identità per la maggior parte delle persone, tanto che secondo un altro studio realizzato da Gallup, per il 44% degli italiani è il lavoro a dare ancora senso alla vita. L’appiattimento della vita sul lavoro non è però privo di conseguenze, e la sensazione pervasiva di tristezza ne è proprio una. Dobbiamo riuscire a liberarci dell’idea per cui dobbiamo per forza “essere” il nostro lavoro per “valere qualcosa”: basta semplicemente farlo, nel modo e alle condizioni migliori possibili, senza per forza ammazzarsi di lavoro per essere considerati dalla società. Fonte: https://thevision.com/attualita/tristezza-lavoro-italia/
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Dopo la Campania e l’Abruzzo, anche la Toscana approva la legge sullo psicologo di base. L’obiettivo è quello di sostenere ed integrare l’azione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta nell’intercettare e rispondere ai bisogni assistenziali di base dei cittadini. In assenza di una legge nazionale, mancante nonostante le tante proposte depositate nella scorsa legislatura, ogni regione si sta attrezzando come può per far fronte all’aumentata necessità di sostegno psicologico, dovuta in gran parte agli effetti della pandemia e delle restrizioni sociali.
«Come Ordine abbiamo effettuato una indagine presso i liberi professionisti nei loro studi provati tra dicembre 2021 e febbraio 2022 – spiega Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana -. È venuto fuori che il 69% dei nostri liberi professionisti nei loro studi privati psicologici hanno rilevato un aumento della richiesta di prestazione psicologica. L’81% dei nostri iscritti ha rilevato un aumento di richieste di bisogno da parte degli adolescenti. Il 67,5% dei nostri professionisti da parte dei bambini, un 34% un aumento di richiesta di prestazione da parte degli anziani. I disagi più diffusi nella fascia dei minori e degli adolescenti sono per ansia, depressione e per problemi relazionali. Per quanto riguarda gli anziani c’è soprattutto una richiesta per disturbi legati all’umore». Lo scopo primario della normativa è quello di garantire un primo livello di assistenza psicologica integrato con gli altri servizi sanitari e funzionale ad assicurare una rapida presa in carico del paziente, anche grazie al sistema delle Case di Comunità così come pensato con la riforma della medicina territoriale. «Sarà un servizio di prossimità – spiega Gulino – che si svolgerà nelle Case della Salute che diventeranno le Case di Comunità con il PNRR, in Toscana ne abbiamo circa 70. In questo presidio della ASL al fianco del medici di medicina generale e del pediatra di libera scelta ci sarà anche uno psicologo. Per cui chi ha un problema di natura psicologica, una situazione di stress o disagio potrà recarsi della Casa della Comunità, chiedere al medico una prescrizione per andare dallo psicologo e verrà inviato dallo psicologo». Nella legge è scritto espressamente che in questa prima fase viene previsto che il servizio di psicologia di base sia svolto da psicologi liberi professionisti in rapporto convenzionale tenuto conto dell’obiettivo di superare, in prospettiva, l’istituto della convenzione in favore di un’implementazione permanente del servizio di assistenza psicologica fornito direttamente dal Servizio sanitario regionale. «Lo psicologo fa una valutazione – spiega ancora Gulino – se la situazione problematica regredisce allora abbiamo fatto prevenzione e abbiamo intercettato precocemente un bisogno prima che diventi un problema di natura più grave. Se invece lo psicologo dell’assistenza primaria vede che la persona ha bisogno di un trattamento più approfondito in collaborazione con i nostri responsabili delle zone distretto nel pubblico verrà fatto un invio di secondo livello alle strutture territoriale competenti». La legge, come quella delle altre regioni sin qui intervenute, è solo un primo passo, che si coniuga anche con l’intervento del bonus psicologo. Con il ‘fai da te’ delle regioni si avranno, però, inevitabilmente livelli di assistenza diversi tra le varie regioni: «Il bisogno psicologico è aumentato tantissimo come evidenziano i dati del bonus psicologo – continua Gulino -. A livello nazionale ci sono 400mila richieste di bonus, a livello regionale ne abbiamo 23mila. Dai cittadini arriva la richiesta di prendersi cura della salute psicologica. Speriamo che intervenendo in maniera regionale il governo venga sensibilizzato a portare avanti una legge nazionale, perché ogni regione deve poter garantire ai suoi cittadini questo servizio». Resta il dato sconfortante del numero molto basso di psicologi nei servizi pubblici: «Solo il 5% dei nostri iscritti, su 7500 iscritti in Toscana, lavora nel Servizio pubblico. I nostri dirigenti psicologi delle Asl rispondono dando priorità ai casi più gravi. Solitamente in Asl arrivano situazioni gravi, la prevenzione non c’è modo di farla. Le liste di attesa sono lunghe, noi chiediamo continuamente di rafforzare la nostra presenza nei servizi pubblici e investire economicamente nella salute dei cittadini. In Toscana tanti psicologi sono andati in pensione ma non ne sono stati assunti di nuovi. Dal 2020 ad oggi regione Toscana ha fatto tre concorsi: abbiamo graduatorie regionali, aspettiamo che la regione finanzi il potenziamento nei servizi pubblici». Fonte: Sanità Informazione Le aree legate a stress tra i giovani includono l’ambito accademico, relazionale e familiare, la paura del futuro e del fallimento e l'immagine corporea Attualmente, in letteratura, esistono poche ricerche che si sono occupate di indagare quali siano i fattori di stress che colpiscono maggiormente i giovani adulti. La maggior parte degli studi si è concentrata su particolari tipi di stressor, come l’esser stati vittime di traumi (Romana Alparone, Pagliaro, & Rizzo, 2015) o sui problemi legati specificamente all’arrivo all’università (Pennebaker, Colder, & Sharp, 1990). Nel complesso, l’utilizzo di categorie ristrette nelle ricerche precedenti ha ostacolato la comprensione di ciò che i giovani adulti considerano come i maggiori problemi della loro vita. Inoltre, nessuna ricerca ha valutato il disagio emotivo associato ai diversi tipi di stressor e si possiedono informazioni esigue anche sulle differenze di genere rispetto ai principali problemi della vita. I dati esistenti indicano che gli uomini esperiscono più problemi legati al lavoro rispetto alle donne (Matud, 2004), mentre quest’ultime riportano più fattori di stress relativi alla famiglia e ad altre relazioni sociali ed esperiscono un maggior disagio emotivo rispetto agli uomini (Brougham et al., 2009). Uno studio sui fattori di stress tra i giovani adulti Attingendo agli scritti di 315 partecipanti universitari, ai quali è stato chiesto di scrivere per quattro giorni consecutivi, 20 minuti al giorno, sul più grande problema della loro vita, uno studio preso in esame si è proposto di superare i limiti delle ricerche precedenti, esaminando i più grandi problemi di vita dei giovani adulti. In particolare, gli autori hanno analizzato gli elaborati al fine di comprendere quali fossero i maggiori problemi nella vita dei partecipanti; se vi fossero differenze di genere rispetto alla tipologia di problemi riportati da uomini e donne; quale fosse il livello di stress emotivo tra i soggetti con diversi tipi di problemi e se ci fossero differenze di genere nel livello di disagio emotivo associato al problema più grande nella vita degli individui. Le analisi condotte hanno permesso di individuare sei macro-categorie di problematiche, tra cui: l’ambito accademico, le relazioni sentimentali, la famiglia e, più nello specifico, la paura di deludere i genitori, la paura del futuro e del fallimento e l’immagine corporea. I risultati hanno offerto una valutazione dettagliata dei principali problemi nella vita dei giovani adulti e contribuiscono, più in generale, ad affrontare domande di ricerca fino ad ora trascurate e a sfidare alcune ipotesi di vecchia data sulle differenze di genere. Nello specifico, i risultati indicano che, in linea con le ricerche precedenti, i principali problemi di vita tra i laureandi includono gli studi, le relazioni e l’incertezza sul futuro. I principali problemi relativi all’ambito accademico riguardavano per lo più i voti e la gestione del tempo, mentre, per ciò che concerne l’ambito relazionale, le preoccupazioni concernevano le rotture e gli amori non corrisposti. Inoltre, le analisi hanno rivelato la presenza di due nuove categorie di problemi, che non erano state citate nelle ricerche precedenti: salute e benessere e paura del fallimento. È bene specificare che le preoccupazioni inerenti alla salute e al benessere riguardavano per lo più la salute mentale. Diversamente dalla ricerca precedente, i presenti risultati hanno indicato che uomini e donne avevano la stessa probabilità di identificare come maggiori problemi aspetti inerenti agli studi e alle relazioni romantiche. Questi risultati sfidano le ipotesi convenzionali secondo cui gli uomini sono più orientati al raggiungimento di risultati rispetto alle donne e che le donne sono più propense a sperimentare difficoltà relative alle relazioni sentimentali rispetto agli uomini. I risultati hanno rivelato che le persone il cui principale problema di vita era caratterizzato da abusi o traumi passati, o dalla salute e dal benessere altrui, hanno sperimentato i più alti livelli di disagio emotivo. Questi risultati aumentano la comprensione di quali siano i fattori di stress che probabilmente ostacolano o affaticano i giovani a livello psicologico, rendendoli più a rischio di contrarre gravi problemi di salute mentale e fisica (Foster et al., 2008). Giovani adulti e salute mentale Dunque, i giovani adulti vivono determinati aspetti della loro vita in modo particolarmente angosciante e, quanto appena detto, sfida il pensiero comune di molti adulti, che ritengono che i giovani d’oggi vivano con estrema superficialità le proprie vite, concentrandosi su aspetti futili, quando, in realtà, non è così. Si tratta di una generazione caratterizzata dalla paura di fallire e da un estremo sentimento di inadeguatezza, generato dall’idea che non bisogna perder tempo e che ogni giorno sarà necessario svegliarsi e correre più in fretta degli altri per essere migliori. Pertanto, tenendo conto che l’insorgenza di molti disturbi mentali, come la depressione maggiore, il disturbo bipolare e l’abuso/dipendenza da sostanze avviene tra i 18 e i 24 anni (Kessler et al., 2012), esaminare la prevalenza e l’impatto emotivo dello stress potrebbe migliorare le politiche di prevenzione delle malattie e della promozione della salute (Foster, Hagan, & Brooks-Gunn, 2008) tra i soggetti in questa fascia d’età, consentendo ulteriormente di migliorare la qualità delle loro vite. Articolo a cura di Dominique De Filippis pubblicato su https://www.stateofmind.it/2021/11/giovani-adulti-stress/
La resilienza non indica l'essere immuni alla sofferenza o l'ignorare l’esperienza dolorosa, ma riuscire ad apprendere da essa La resilienza è così sinonimo di chi, anche di fronte alle situazioni stressanti della vita, non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità (Trabucchi P.) Di fronte alla sofferenza l’uomo ha sempre cercato, e continuerà a farlo, di trovare modi, siano essi magici o razionali, in grado di ridurre la probabilità che un processo morboso si manifesti (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). Nella mitologia greca e poi nella mitologia romana, Igea e Panacea, figlie di Esculapio, Dio della medicina, incarnavano simbolicamente la prevenzione e la cura. Pensare, quindi, che la prevenzione sia un concetto tipico dell’età moderna è un errore. Tuttavia, la sistematizzazione delle conoscenze a riguardo ha avuto bisogno di molto altro tempo e forse tutt’oggi siamo ancora lontani da una chiarezza concettuale e da una sistematicità operativa (Ammaniti M., 2006). Le origini del termine resilienza Fino a qualche tempo fa, il termine resilienza era utilizzato solo per designare la proprietà fisica di un materiale, indicando così l’attitudine di un corpo a riacquistare la propria forma iniziale dopo aver subito una deformazione causata da un impatto (Castelletti P., 2006). La resilienza è, quindi, la capacità dei materiali di resistere ad urti improvvisi e di sopportare sforzi applicati bruscamente senza spezzarsi e senza riportare incrinature (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). Conoscere la resilienza di un materiale è fondamentale perché consente di prevedere il suo comportamento qualora fosse sottoposto a forti sollecitazioni. Riportando tale concetto nell’ambito della psicologia, potremmo dunque pensare che la resilienza sia una qualità che una persona possiede oppure non possiede. Eppure, a differenza dei materiali, l’uomo possiede una caratteristica in più: è capace di apprendere (Trabucchi P., 2019). Per questo motivo, c’è chi preferisce ricollegare il concetto di resilienza al suo significato etimologico, facendo così riferimento al verbo latino “resalio” (saltare, rimbalzare per indicare il movimento repentino di risalita in barca). Infatti, nell’antichità veniva utilizzato questo verbo per indicare coloro che, durante una tempesta quando la barca si era rovesciata, lottavano strenuamente per risalirvi sopra. La resilienza è così sinonimo di chi, anche di fronte alle situazioni stressanti della vita, non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità (Trabucchi P., 2019). Le caratteristiche delle persone resilienti Come osserva la psicologa e professoressa universitaria, Marie Anaut, essere resiliente non significa essere invincibili. Le persone resilienti non sono immuni alla sofferenza, non ignorano l’esperienza dolorosa, ma riescono ad apprendere da essa. Secondo l’Anaut, è più corretto paragonare la persona resiliente ad un Batman piuttosto che ad un Superman, ossia ad un eroe che possiede molte qualità ma non è dotato di super poteri. Così la persona resiliente può restare ferita, ma riesce ad andare oltre questa ferita per affrontare con coraggio e competenza la propria vita (Anaut M., 2003). Dunque, affinché si possa parlare di resilienza sono fondamentali due condizioni: l’incontro con circostanze altamente stressanti, da un lato, e l’evoluzione soddisfacente in termini di adattamento psicosociale e di benessere soggettivo, dall’altro (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). Non bisogna quindi pensare che la resilienza sia l’equivalente della “resistenza”; si potrebbe anche dire che essa ne rappresenta l’opposto, cioè una “non resistenza” funzionale alla sopravvivenza, “un piegarsi senza spezzarsi” (Castelletti P., 2006). Essere una persona resiliente non significa impedire nella nostra vita la presenza di preoccupazioni, dolori o paure; al contrario, essere resilienti significa accettare i carichi e le difficoltà come parte integrante della vita e avere la certezza di poter uscire più forti di prima dalle crisi, avendole vissute ed avendo appreso da esse (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). Non è difficile riconoscere un individuo resiliente, poiché egli presenta sempre una serie di caratteristiche inconfondibili: è un ottimista, riconosce gli eventi negativi come momentanei e circoscritti, è fortemente motivato a raggiungere i suoi obiettivi e tende a vedere i cambiamenti come un’opportunità (Centro di Ascolto Psicologico, 2017). Ad utilizzare il termine di resilienza per la prima volta è stata la psicologa americana Emmy Werner: nel corso di una ricerca longitudinale sui bambini delle isole Hawaii, non scolarizzati, senza famiglia e abbandonati alla violenza e alle malattie, constatò che a 30 anni ben il 30% di loro era alfabetizzato, lavorava e aveva creato una famiglia. La Werner aveva incentrato per la prima volta la sua ricerca su quei soggetti piegati dalle avverse condizioni socioeconomiche e bisognosi di aiuto: studiò le modalità con le quali un bambino su tre era riuscito, nonostante tutto, a trovare una forma adeguata di adattamento e a vivere una vita serena (Werner E. E., Smith R. S., 1989). Gli psicologi americani hanno così adottato negli anni ‘90 il termine resiliency per descrivere la capacità dei bambini di resistere a stress anche molto acuti (Castelletti P., 2006). I fattori di rischio e di protezione della resilienza
Tutt’oggi è attivo e irrisolto un dibattito relativo alla formulazione di una definizione condivisa dei fattori di rischio e di protezione e ad una coerente differenziazione tra tali variabili (Prati G., Pietrantoni L., 2006). Gli individui resilienti riescono a trovare in loro stessi, nelle relazioni e nei contesti di vita quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti anche fattori di protezione, che si contrappongono ai fattori di rischio, cioè tutto ciò che diminuisce la capacità della persona stessa di sopportare il dolore (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). Coie e colleghi raggruppano i fattori di rischio in 7 classi (Coie J.D. et all, 1993, p. 114):
Pertanto, è importante ricordare che la resilienza è dinamica, frutto dell’interazione individuo e ambiente ed è sia individuale che sistemica; ne consegue che è più adeguato riferirsi ad essa come ad un processo piuttosto che ad un concetto (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). E solo imparando a conoscerla meglio potremo riconoscerla in ognuno di noi stessi e potenziarla. Articolo a cura di Francesca Ape, pubblicato su www.stateofmind.it L’Approccio Centrato sulla Persona, pone al centro del percorso terapeutico la tendenza attualizzante della persona, cioè la capacità insita in ogni individuo – se ci sono le giuste condizioni – a liberarsi dalle costruzioni morali imposte, ad autocomprendersi, modificare e realizzare il proprio percorso di vita. Il mio compito è quello di creare le giuste condizioni, attraverso i seguenti percorsi:
In questi casi la consulenza psicologica aiuta a gestire le emozioni e i pensieri contrastanti e per certi versi “confusi” che creano il malessere e il disagio. Aiuta a riscoprire e a stimolare le capacità di empowerment, che ci consentono di fronteggiare adeguatamente una determinata situazione, anche estremamente complessa. Aiuta ad acquisire consapevolezza delle proprie abilità e delle proprie competenze, necessaria per riacquistare la fiducia in sé stessi e la propria autostima.
Questo tipo di percorso è indicato sia per la persona direttamente interessata dall'evento esterno che ha innescato il malessere, sia per i familiari ugualmente coinvolti nella difficoltà.
Nel percorso si inizia a percepire chiaramente il proprio valore, i propri sentimenti, le proprie motivazioni. Si osservano le esperienze sociali vissute senza distorsioni. Man mano che si esplorano i sentimenti, la percezione di sé stessi diventa più realistica e si acquisisce la capacità di accettarsi per come si è. Senza maschere, senza costruzioni, senza inganni. Si tratta di un processo complesso e profondo, perché riguarda aspetti della personalità dei quali molto spesso non solo si ha difficoltà a comprenderne il funzionamento, ma a volte non si è consapevoli nemmeno della loro esistenza (leggi di più). Ricevo a:
Un nuovo studio, in una nuova sede. L'attività di supporto psicologico e di psicoterapia continua nella nuova sede in Via XX Settembre n. 40, sempre a Firenze.
Per info e prenotazioni Telefono: 370 3090715 Email: carmenfurci@gmail.com Per un breve periodo, lo studio rimarrà chiuso. L'attività riprenderà regolarmente a partire dal mese di ottobre e in un nuovo studio.
Per info e contatti: carmenfurci@gmail.com La pandemia COVID-19 ha avuto un enorme impatto a livello personale, sociale ed economico per la popolazione mondiale. In Europa, l’Italia è stata uno dei paesi in prima linea in un’emergenza che ha colpito in modo significativo la vita delle persone. Precedenti ricerche sull’impatto psicologico della pandemia hanno rivelato un aumento di ansia, depressione e sentimenti di angoscia. L’obiettivo della ricerca che trovate su Scientific Reports di Nature è stato esplorare gli effetti del COVID-19 e del lockdown sulla salute mentale. A tal fine, il questionario breve che valuta umore e sentimenti (il cd. Short Mood and Feelings Questionnaire) è stato somministrato a un campione casuale, composto da 6700 individui, e rappresentativo dell’intera popolazione italiana. Lo studio è stato condotto subito dopo la fase di lockdown, a giugno 2020, per raccogliere le reazioni immediate alla prima fase dell’emergenza. I risultati mostrano punteggi più alti di sintomi depressivi nelle donne, nei giovani, nelle persone che incontrano incertezze professionali (perché in cassa integrazione o in disoccupazione) e negli individui con status economico meno agiato. Sintomi di depressione sono stati rilevati anche per gli individui che vivono da soli, e per coloro che non potevano uscire di casa per recarsi al lavoro. In altre parole, nonostante lo stress della condizione lavorativa emergenziale chi ha continuato ad andare a lavorare ha avuto meno probabilità di sviluppare sintomi depressivi e di ansia. Ma il fattore più importante che si correla con l’esistenza di stati mentali depressivi è senz’altro quello relativo al manifestarsi di casi di COVID-19 in famiglia.
In tal senso, lo studio sottolinea la necessità di tenere conto delle conseguenze psicologiche della pandemia e dell’isolamento, puntando all’implementazione di un approccio di policy olistico che consideri la salute sia fisica che mentale degli individui.” Di Marco Delmastro su www.infodata.ilsole24ore.com «Ci ritroveremo con molte problematiche psicologiche legate alla sindrome post traumatica scatenata dalla pandemia. Ciò che sta accadendo è del tutto inedito, non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista della salute mentale». Quindici massimi esperti di psicologia e psicoterapia si sono dati appuntamento da tutto il mondo a Bologna, ma senza incontrarsi fisicamente, per il convegno "Body and Psychotherapy at the time of Pandemic". Un evento eccezionale che nasce per guardare oltre l'emergenza sanitaria immediata e rispondere a tanti interrogativi importanti legati al ruolo del corpo, a quello della tecnologia, all'importanza del contatto fisico e al superamento di un trauma collettivo paragonabile solo a quello della segregazione dei nativi americani. Come staremo fra qualche mese? Cosa possiamo e potremo fare per superare questa esperienza? Fra gli studiosi riuniti al tavolo il filosofo Umberto Galimberti; Stephen Porges, uno dei massimi neurofisiologi viventi; da Wuhan il dott. Li Wentian e ancora Vittorio Gallese; Massimo Biondi; Rubens Kignel, Corrado Sinigaglia e Ulrich Sollmann oltre ai "padroni di casa" Maurizio Stupiggia e Rosanna De Sanctis, della Società Italiana di Biosistemica di Bologna. Cosa ci è successo all'improvviso? Cosa ci accadrà nella fase successiva? Qualcosa di simile è mai accaduta prima?"E' successo che siamo stati improvvisamente catapultati in una nuova era che ha messo a dura prova la nostra connessione con il passato e con il futuro – spiega il Professor Maurizio Stupiggia -. Stiamo assistendo a due rivoluzioni temporali che si sono susseguite una dopo l’altra: una fortissima accelerazione che ha esponenzialmente destabilizzato le interazioni sociali, e ora una imprevedibile riduzione della vicinanza fisica e del contatto corporeo a causa della pandemia da CoVid-19. Durante il congresso ho voluto sottolineare come la situazione pandemica di fatto sia un trauma, in particolare un trauma collettivo: non ne esistono altri coincidenti o simili, visto che guerra e il terrorismo sono tutta un'altra cosa. Il trauma più vicino è quello della segregazione subita dei nativi americani. Anche noi come loro abbiamo subito una segregazione ed è stato interessante sapere dagli psicoantropologi americani come abbiano lavorato per ricostruire il senso di comunità e una sana individualità ricostruendo i legami con gli antenati. E questo coincide con un tentativo quasi spontaneo di tutti noi durante il primo lockdown di ricontattare persone legate alla nostra storia anche molto lontana; un moto spontaneo della ricostruzione del tessuto relazionale che ci permette di essere resilienti di fronte a questo trauma collettivo". Stress traumatico da pandemia: il ruolo della "resilienza".Massimo Biondi, dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" ha dimostrato che cosa produce quella che viene chiamata resilienza: «Si tratta di un valore molto importante in questa fase, perché stiamo attraversando e andremo sempre di più verso un periodo di grande stress e soprattutto di stress traumatico, tanto da poter parlare di post-epidemic syndrome». Biondi dunque fa riferimento alla sindrome post-epidemica e analizza il fattore della resilienza, cioè la capacità di far fronte a queste situazioni difficili e mette in luce che dal punto di vista della corporeità è molto importante se noi facciamo pratiche della meditazione, mindsfulness, yoga cioè ciò che ha a che fare con la consapevolezza corporea. Ed ecco che torniamo a quello che dicevano Gallese e Sinigaglia, ovvero che la percezione del nostro corpo e del nostro corpo in azione, produce una capacità di sentire l‘altro, di gestire le relazioni con l’altro e di modularle in un senso ottimale per sé. Come Umberto Galimberti ha spiegato l’angoscia e Gallese l’importanza della tecnologia"L’intervento di Umberto Galimberti si è focalizzato sulla difficoltà di gestire questa situazione traumatica che genera angoscia, ovvero una paura senza nome, senza oggetto né contorni e al successivo tentativo di rendere minacciose delle etnie, altri stati e regioni cercando un nemico che potesse farci passare dall’angoscia alla paura. La paura è infatti più maneggiabile". Spiega De Sanctis, psicologa e psicoterapeuta che riassume così l’intervento del noto filosofo, accademico e giornalista. Vittorio Gallese invece, dell’Università di Parma, ha parlato dell'importanza della tecnologia, la quale diventa protesi per costruire ponti relazionali e fare da collegamento fra esseri umani in una dimensione epocale fortemente estetizzante. Il tema dell'aestesis, il processo sensoriale di sensazione estetica quindi: "La tecnologia è interfaccia fra noi e il mondo e plasma il nostro sguardo fra noi e il mondo". Gli esperimenti di Corrado Sinigaglia e la percezione attraverso la mascherinaCorrado Sinigaglia, Università di Milano, nel suo intervento ha mostrato una serie di esperimenti interessanti rispetto alla percezione umana: "Quando gli attori sono per esempio schermati da un plexiglass o da altri schermi che impediscono l'azione, tutto questo modifica la percezione umana e modifica soprattutto la percezione del comportamento e delle intenzioni dell'altro. Perché è importante questa serie di esperimenti? Perché adesso che usiamo tutti la mascherina, che è uno schermo protettivo, noi sappiamo anche sperimentalmente questo ci cambia profondamente la percezione dell'altro. E c'è poi quella tendenza strutturale dell'uomo a non stare troppo lontano dall'altro. Come a dire che se sto troppo lontano dall'altro, non ne percepisco né immagino il mondo interno. Dunque possiamo stare un po' lontani dagli altri, ma poi, a un certo punto l'innata tendenza umana e di avvicinarci”. "Siamo costituiti da batteri e virus per il 40%".Rubens Kignel, dal Brasile (Universidade de Sao Paulo), ha messo in luce la tendenza a vedere il mondo come totalmente puro e a combattere l’impurità anche in questa pandemia: "Basti pensare all’attenzione all’untore, a sconfiggere il virus". Ma Rubens facendo riferimento a studi di biologia e immunologia mostra come "noi siamo per il 40% composti da virus e batteri e siamo nati addirittura da virus e batterie che quindi noi non possiamo avere questa logica di ricerca ossessiva dell’impurità, ma piuttosto lui cerca di mostrare come la nostra vita sia una ricerca di convivenza con tutte le forme di virus". Fra gli interventi più rilevanti del congresso, anche quello di uno dei massimi neurofisiologi viventi, che ha influito in maniera profonda e fondamentale sulla psicoterapia: Stephen Porges, dell'Indiana University. Il suo messaggio principale è stato “safety is the treatment” (la sicurezza è la terapia): dice che noi riusciamo a calmarci, a regolarizzare il nostro metabolismo e a cambiare se ci sente in un ambiente sicuro. Porges stesso ha sperimentato che il terapeuta, quando riesce a costruire delle condizioni di sicurezza e lui stesso si pone come persona degna di fiducia, allora si giunge a una co-corregolazione reciproca e precisa e il paziente va verso il benessere e la guarigione. Le conclusioni: un confronto utile a tutti e non solo agli addetti ai lavori«Per gli addetti ai lavori si è trattato di un evento straordinario perché ha raggruppato i massimi esperti del settore, che qui si sono confrontati pubblicamente su questo tema per la prima volta – spiega Stupiggia - Mentre le istituzioni e la stampa si occupano solo dell’emergenza immediata, l’argomento proposto dal convegno viene trascurato sebbene sarà forse, nel proseguo della pandemia e anche dopo, la questione di maggior rilievo. Ci ritroveremo infatti con molte problematiche psicologiche legate alla sindrome post traumatica scatenata da questa pandemia. Ciò che sta accadendo è infatti del tutto inedito, non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista della salute mentale. I terapeuti non avevano mai affrontato una emergenza tale, che richiede prospettive e strumenti totalmente nuovi». De Sanctis ha fatto il punto sulla fruizione del seminario da parte di un target non medico, non specialistico, generalista ma altrettanto interessato: «Anche per i non addetti ai lavori è stata un’opportunità perché sono state spiegate in maniera chiara e comprensibile le dinamiche che stanno alla base di una serie di reazioni emotive e comportamentali che viviamo quotidianamente. I relatori cercheranno di spiegare l’impatto che questa esperienza collettiva e planetaria ha su di noi, e offriranno anche strumenti praticabili di cura di sé e del proprio ambiente di vita». Il parterre dei relatori internazionali presenti al convegno onlineOzden Bademci, Maltepe University, Istanbul; Massimo Biondi, Università di Roma; Fabio Carbonari, Istituto Reich, Roma; Genovino Ferri, New York Academy of Sciences; Umberto Galimberti, Università di Venezia; Vittorio Gallese, Università di Parma; Gabriel Graca de Olivera, Universida de Brasilia; Herbert Grassmann, Parkmore Institute, Johannesburg; Rubens Kignel, Universidade de Sao Paulo; Patrizia Moselli, Società Italiana di Analisi Bioenergetica; Stephen Porges, Indiana University; Frank Rohricht, London University; Corrado Sinigaglia, Università di Milano; Ulrich Sollmann, Shanghai University; Li Wentian, Wuhan Mental Health Center; Giovanni Stanghellini, Università di Chieti. Chi sono Rosanna De Sanctis e Maurizio StupiggiaEntrambi presiedono il congresso ed entrambi ne sono moderatori. Tanti i punti di contatto fra loro, uno su tutti la Società Italiana di Biosistemica di Bologna. Rosanna De Sanctis. Psicologa, libera professionista. Presidentessa di Associazione di iDee di Bologna; didatta presso la Società Italiana di Biosistemica di Bologna e trainer per insegnanti, educatori, psicologi e supervisori.
Maurizio Stupiggia. Psicoterapeuta ad orientamento corporeo, ha integrato nel corso degli anni l’approccio sistemico-familiare con il lavoro terapeutico sul corpo. Insegna alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano. È direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Biosistemica di Bologna, opera in diversi Paesi d’Europa, in Giappone e America Latina. Ha pubblicato numerosi articoli e libri tradotti in varie lingue. Di Erika Bertossi su www.bolognatoday.it La seconda ondata di Covid e l'incertezza per il futuro stanno causando nuove forme d'ansia dovute al senso di sospensione del tempo. Gli specialisti avvertono: "l'antidoto più forte è impegnarsi in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui, attraverso il rispetto delle norme sanitarie". In questo periodo di sospensione, con l’avvio della seconda ondata di Covid, sta emergendo un nuovo tipo di disagio a livello psicologico: l'ansia da "limbo". È un disagio che si inquadra tra gli effetti psichici indiretti del Covid-19, ma non è un'ansia generalizzata: è un'ansia specifica, da sospensione del tempo, che aumenta il malessere psichico al di là delle ricadute sociali ed economiche, con risvolti che vanno dalla difficoltà di concentrazione allo spaesamento, fino ai disturbi del sonno. “In relazione al Covid, una malattia virale che desta preoccupazione e angoscia perché non ha un trattamento specifico e per tutto il clamore mediatico che suscita, la sospensione del tempo è percepita da chi attende l’esito del tampone, di fare il test o la fine della quarantena, come un'attesa alterata e dilatata, apparentemente infinita”, spiega Massimo Di Giannantonio, presidente SIP e professore di Psichiatria all’Università G. D'Annunzio di Chieti-Pescara. “Vediamo ogni giorno sempre più persone che subiscono passivamente l'attesa, che diventa una sorta di alibi per attuare un atteggiamento rinunciatario, passivo, che moltiplica i problemi – continua Di Giannantonio – Mentre ne vediamo altre insofferenti che reagiscono in modo aggressivo, a volte violento, altre ancora che tentano di non tenere conto delle limitazioni pagandone le conseguenze, anche legali". "Se sono presenti sintomi di tipo depressivo e ansioso la sospensione del tempo dell'attesa di un possibile evento negativo aggrava l’intensità dell'ansia” spiega Enrico Zanalda, co-presidente SIP e direttore dell'Dipartimento di Salute Mentale dell'ASL Torino 3. L'ansia anticipatoria è un disturbo potenzialmente presente nel 5% delle persone che attendono un referto diagnostico, ma l'ansia di attesa da Covid è molto più frequente. Nel dopo-lockdown si sono registrate moltissime diagnosi di disturbo post traumatico da stress, per questo è necessario imparare a gestire il proprio benessere psichico in questa fase d'attesa. “L'antidoto più forte è impegnarsi in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui, attraverso il rigoroso rispetto delle norme sanitarie, che ci consente di guardare al futuro", concludono gli esperti, che hanno definito 7 regole per contrastare l'ansia da limbo. 1 - Condividere le proprie emozioni e preoccupazioni;
2 - Informarsi scegliendo canali appartenenti a fonti istituzionali; 3 - Mantenere una continuità con la routine delle proprie abitudini nel rispetto delle regole sanitarie; 4 - Ritagliarsi uno spazio personale in cui è possibile leggere e ascoltare musica; 5 - Scegliere una alimentazione sana ed eseguire esercizi di rilassamento; 6 - Utilizzare strumenti social per scongiurare vissuti di solitudine e isolamento; 7 - Nel caso in cui l'ansia da limbo crei un disagio cronico e costante, contattare uno specialista; Tratto da www.tg24.sky.it |
AuthorCarmen Furci Archives
December 2022
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