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Stress, i principali problemi che affliggono i giovani adulti

10/11/2021

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Le aree legate a stress tra i giovani includono l’ambito accademico, relazionale e familiare, la paura del futuro e del fallimento e l'immagine corporea
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Attualmente, in letteratura, esistono poche ricerche che si sono occupate di indagare quali siano i fattori di stress che colpiscono maggiormente i giovani adulti.
La maggior parte degli studi si è concentrata su particolari tipi di stressor, come l’esser stati vittime di traumi (Romana Alparone, Pagliaro, & Rizzo, 2015) o sui problemi legati specificamente all’arrivo all’università (Pennebaker, Colder, & Sharp, 1990). Nel complesso, l’utilizzo di categorie ristrette nelle ricerche precedenti ha ostacolato la comprensione di ciò che i giovani adulti considerano come i maggiori problemi della loro vita.
Inoltre, nessuna ricerca ha valutato il disagio emotivo associato ai diversi tipi di stressor e si possiedono informazioni esigue anche sulle differenze di genere rispetto ai principali problemi della vita. I dati esistenti indicano che gli uomini esperiscono più problemi legati al lavoro rispetto alle donne (Matud, 2004), mentre quest’ultime riportano più fattori di stress relativi alla famiglia e ad altre relazioni sociali ed esperiscono un maggior disagio emotivo rispetto agli uomini (Brougham et al., 2009).

Uno studio sui fattori di stress tra i giovani adulti
Attingendo agli scritti di 315 partecipanti universitari, ai quali è stato chiesto di scrivere per quattro giorni consecutivi, 20 minuti al giorno, sul più grande problema della loro vita, uno studio preso in esame si è proposto di superare i limiti delle ricerche precedenti, esaminando i più grandi problemi di vita dei giovani adulti. In particolare, gli autori hanno analizzato gli elaborati al fine di comprendere quali fossero i maggiori problemi nella vita dei partecipanti; se vi fossero differenze di genere rispetto alla tipologia di problemi riportati da uomini e donne; quale fosse il livello di stress emotivo tra i soggetti con diversi tipi di problemi e se ci fossero differenze di genere nel livello di disagio emotivo associato al problema più grande nella vita degli individui. Le analisi condotte hanno permesso di individuare sei macro-categorie di problematiche, tra cui: l’ambito accademico, le relazioni sentimentali, la famiglia e, più nello specifico, la paura di deludere i genitori, la paura del futuro e del fallimento e l’immagine corporea.
I risultati hanno offerto una valutazione dettagliata dei principali problemi nella vita dei giovani adulti e contribuiscono, più in generale, ad affrontare domande di ricerca fino ad ora trascurate e a sfidare alcune ipotesi di vecchia data sulle differenze di genere.
Nello specifico, i risultati indicano che, in linea con le ricerche precedenti, i principali problemi di vita tra i laureandi includono gli studi, le relazioni e l’incertezza sul futuro. I principali problemi relativi all’ambito accademico riguardavano per lo più i voti e la gestione del tempo, mentre, per ciò che concerne l’ambito relazionale, le preoccupazioni concernevano le rotture e gli amori non corrisposti. Inoltre, le analisi hanno rivelato la presenza di due nuove categorie di problemi, che non erano state citate nelle ricerche precedenti: salute e benessere e paura del fallimento. È bene specificare che le preoccupazioni inerenti alla salute e al benessere riguardavano per lo più la salute mentale.
Diversamente dalla ricerca precedente, i presenti risultati hanno indicato che uomini e donne avevano la stessa probabilità di identificare come maggiori problemi aspetti inerenti agli studi e alle relazioni romantiche. Questi risultati sfidano le ipotesi convenzionali secondo cui gli uomini sono più orientati al raggiungimento di risultati rispetto alle donne e che le donne sono più propense a sperimentare difficoltà relative alle relazioni sentimentali rispetto agli uomini.
I risultati hanno rivelato che le persone il cui principale problema di vita era caratterizzato da abusi o traumi passati, o dalla salute e dal benessere altrui, hanno sperimentato i più alti livelli di disagio emotivo.
Questi risultati aumentano la comprensione di quali siano i fattori di stress che probabilmente ostacolano o affaticano i giovani a livello psicologico, rendendoli più a rischio di contrarre gravi problemi di salute mentale e fisica (Foster et al., 2008).
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Giovani adulti e salute mentale
Dunque, i giovani adulti vivono determinati aspetti della loro vita in modo particolarmente angosciante e, quanto appena detto, sfida il pensiero comune di molti adulti, che ritengono che i giovani d’oggi vivano con estrema superficialità le proprie vite, concentrandosi su aspetti futili, quando, in realtà, non è così. Si tratta di una generazione caratterizzata dalla paura di fallire e da un estremo sentimento di inadeguatezza, generato dall’idea che non bisogna perder tempo e che ogni giorno sarà necessario svegliarsi e correre più in fretta degli altri per essere migliori.
Pertanto, tenendo conto che l’insorgenza di molti disturbi mentali, come la depressione maggiore, il disturbo bipolare e l’abuso/dipendenza da sostanze avviene tra i 18 e i 24 anni (Kessler et al., 2012), esaminare la prevalenza e l’impatto emotivo dello stress potrebbe migliorare le politiche di prevenzione delle malattie e della promozione della salute (Foster, Hagan, & Brooks-Gunn, 2008) tra i soggetti in questa fascia d’età, consentendo ulteriormente di migliorare la qualità delle loro vite.
Articolo a cura di Dominique De Filippis pubblicato su https://www.stateofmind.it/2021/11/giovani-adulti-stress/
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La resilienza e la psicologia: piegarsi senza spezzarsi

26/10/2021

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La resilienza non indica l'essere immuni alla sofferenza o l'ignorare l’esperienza dolorosa, ma riuscire ad apprendere da essa
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La resilienza è così sinonimo di chi, anche di fronte alle situazioni stressanti della vita, non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità (Trabucchi P.)
Di fronte alla sofferenza l’uomo ha sempre cercato, e continuerà a farlo, di trovare modi, siano essi magici o razionali, in grado di ridurre la probabilità che un processo morboso si manifesti (Becciu M., Colasanti A.R., 2016).
Nella mitologia greca e poi nella mitologia romana, Igea e Panacea, figlie di Esculapio, Dio della medicina, incarnavano simbolicamente la prevenzione e la cura. Pensare, quindi, che la prevenzione sia un concetto tipico dell’età moderna è un errore. Tuttavia, la sistematizzazione delle conoscenze a riguardo ha avuto bisogno di molto altro tempo e forse tutt’oggi siamo ancora lontani da una chiarezza concettuale e da una sistematicità operativa (Ammaniti M., 2006).

Le origini del termine resilienza
Fino a qualche tempo fa, il termine resilienza era utilizzato solo per designare la proprietà fisica di un materiale, indicando così l’attitudine di un corpo a riacquistare la propria forma iniziale dopo aver subito una deformazione causata da un impatto (Castelletti P., 2006). La resilienza è, quindi, la capacità dei materiali di resistere ad urti improvvisi e di sopportare sforzi applicati bruscamente senza spezzarsi e senza riportare incrinature (Becciu M., Colasanti A.R., 2016).
Conoscere la resilienza di un materiale è fondamentale perché consente di prevedere il suo comportamento qualora fosse sottoposto a forti sollecitazioni. Riportando tale concetto nell’ambito della psicologia, potremmo dunque pensare che la resilienza sia una qualità che una persona possiede oppure non possiede. Eppure, a differenza dei materiali, l’uomo possiede una caratteristica in più: è capace di apprendere (Trabucchi P., 2019).
Per questo motivo, c’è chi preferisce ricollegare il concetto di resilienza al suo significato etimologico, facendo così riferimento al verbo latino “resalio” (saltare, rimbalzare per indicare il movimento repentino di risalita in barca). Infatti, nell’antichità veniva utilizzato questo verbo per indicare coloro che, durante una tempesta quando la barca si era rovesciata, lottavano strenuamente per risalirvi sopra. La resilienza è così sinonimo di chi, anche di fronte alle situazioni stressanti della vita, non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità (Trabucchi P., 2019).

Le caratteristiche delle persone resilienti
Come osserva la psicologa e professoressa universitaria, Marie Anaut, essere resiliente non significa essere invincibili. Le persone resilienti non sono immuni alla sofferenza, non ignorano l’esperienza dolorosa, ma riescono ad apprendere da essa. Secondo l’Anaut, è più corretto paragonare la persona resiliente ad un Batman piuttosto che ad un Superman, ossia ad un eroe che possiede molte qualità ma non è dotato di super poteri. Così la persona resiliente può restare ferita, ma riesce ad andare oltre questa ferita per affrontare con coraggio e competenza la propria vita (Anaut M., 2003).
Dunque, affinché si possa parlare di resilienza sono fondamentali due condizioni: l’incontro con circostanze altamente stressanti, da un lato, e l’evoluzione soddisfacente in termini di adattamento psicosociale e di benessere soggettivo, dall’altro (Becciu M., Colasanti A.R., 2016).
Non bisogna quindi pensare che la resilienza sia l’equivalente della “resistenza”; si potrebbe anche dire che essa ne rappresenta l’opposto, cioè una “non resistenza” funzionale alla sopravvivenza, “un piegarsi senza spezzarsi” (Castelletti P., 2006). Essere una persona resiliente non significa impedire nella nostra vita la presenza di preoccupazioni, dolori o paure; al contrario, essere resilienti significa accettare i carichi e le difficoltà come parte integrante della vita e avere la certezza di poter uscire più forti di prima dalle crisi, avendole vissute ed avendo appreso da esse (Becciu M., Colasanti A.R., 2016).
Non è difficile riconoscere un individuo resiliente, poiché egli presenta sempre una serie di caratteristiche inconfondibili: è un ottimista, riconosce gli eventi negativi come momentanei e circoscritti, è fortemente motivato a raggiungere i suoi obiettivi e tende a vedere i cambiamenti come un’opportunità (Centro di Ascolto Psicologico, 2017).
Ad utilizzare il termine di resilienza per la prima volta è stata la psicologa americana Emmy Werner: nel corso di una ricerca longitudinale sui bambini delle isole Hawaii, non scolarizzati, senza famiglia e abbandonati alla violenza e alle malattie, constatò che a 30 anni ben il 30% di loro era alfabetizzato, lavorava e aveva creato una famiglia. La Werner aveva incentrato per la prima volta la sua ricerca su quei soggetti piegati dalle avverse condizioni socioeconomiche e bisognosi di aiuto: studiò le modalità con le quali un bambino su tre era riuscito, nonostante tutto, a trovare una forma adeguata di adattamento e a vivere una vita serena (Werner E. E., Smith R. S., 1989). Gli psicologi americani hanno così adottato negli anni ‘90 il termine resiliency per descrivere la capacità dei bambini di resistere a stress anche molto acuti (Castelletti P., 2006).
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I fattori di rischio e di protezione della resilienza
Tutt’oggi è attivo e irrisolto un dibattito relativo alla formulazione di una definizione condivisa dei fattori di rischio e di protezione e ad una coerente differenziazione tra tali variabili (Prati G., Pietrantoni L., 2006). Gli individui resilienti riescono a trovare in loro stessi, nelle relazioni e nei contesti di vita quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti anche fattori di protezione, che si contrappongono ai fattori di rischio, cioè tutto ciò che diminuisce la capacità della persona stessa di sopportare il dolore (Becciu M., Colasanti A.R., 2016).
Coie e colleghi raggruppano i fattori di rischio in 7 classi (Coie J.D. et all, 1993, p. 114):
  • Circostanze familiari: classe sociale bassa, conflitto familiare, malattia mentale in famiglia, famiglia molto numerosa, scarso legame con i genitori, disorganizzazione familiare, comunicazione disturbata;
  • Difficoltà emozionali: esperienze di abuso nell’infanzia, apatia, chiusura, immaturità emozionale, eventi di vita stressanti, bassa autostima, scarso controllo emotivo;
  • Problemi scolastici: insuccesso, demoralizzazione scolastica;
  • Problemi interpersonali: rifiuto dei pari, alienazione e isolamento;
  • Contesto ecologico: disorganizzazione sociale, ingiustizie razziali, disoccupazione, povertà estrema;
  • Handicap costituzionali: complicazioni perinatali, disabilità sensoriali, handicap organici, disfunzioni di natura innata;
  • Ritardi nello sviluppo di abilità: intelligenza sotto la norma, incompetenza sociale, deficit attentivi, disabilità di lettura, scarse abilità e attitudini al lavoro.
I fattori protettivi, invece, hanno un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle circostanze di vita avverse, potenziando così la resilienza dell’individuo (Trabucchi P., 2019). Differenti ricerche hanno indicato l’esistenza di tre macroaree di fattori protettivi: le caratteristiche individuali, l’ambiente famigliare e il contesto sociale allargato (Werner E., Smith R.S., 1992). Relativamente alle caratteristiche individuali, tra i fattori di protezione è possibile distinguere l’autonomia, il senso di fiducia personale, l’apertura alle relazioni sociali, la capacità di risolvere i problemi e prendere decisioni, il porsi degli obiettivi ed essere in grado di raggiungerli. Inoltre, affinché una persona diventi resiliente, è necessario che nella propria storia di vita abbia una figura di riferimento positiva sia dentro che fuori dalla famiglia, abbia la possibilità di fare delle esperienze che aumentino la propria autostima e autoefficacia. Una comunità competente, infine, riesce ad effettuare degli interventi di promozione del benessere favorendo la coesione sociale, la partecipazione e la solidarietà (Losel F., 1994). Altri importanti fattori protettivi sono l’ottimismo, l’autostima, la robustezza psicologica (hardiness) e le emozioni positive (Cantoni F., 2014).
Pertanto, è importante ricordare che la resilienza è dinamica, frutto dell’interazione individuo e ambiente ed è sia individuale che sistemica; ne consegue che è più adeguato riferirsi ad essa come ad un processo piuttosto che ad un concetto (Becciu M., Colasanti A.R., 2016). E solo imparando a conoscerla meglio potremo riconoscerla in ognuno di noi stessi e potenziarla.

                          Articolo a cura di Francesca Ape, pubblicato su www.stateofmind.it
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Consulenza psicologica, psicoterapia e supporto psicologico: i percorsi e le sedi a Firenze a Scandicci

16/10/2021

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L’Approccio Centrato sulla Persona, pone al centro del percorso terapeutico la tendenza attualizzante della persona, cioè la capacità insita in ogni individuo – se ci sono le giuste condizioni – a liberarsi dalle costruzioni morali imposte, ad autocomprendersi, modificare e realizzare il proprio percorso di vita. Il mio compito è quello di creare le giuste condizioni, attraverso i seguenti percorsi:

  • Consulenza Psicologica
Il percorso di Consulenza Psicologica risulta indicato quando il malessere deriva da un periodo particolare e complicato della vita, nel quale le difficoltà ad affrontare la quotidianità, sia in ambito professionale che personale, appaiono difficili da superare. Un periodo di crisi, in cui non si manifesta tuttavia una situazione di disturbo psicopatologico, ma piuttosto una problematicità nella gestione dei vari aspetti della vita quotidiana. 
In questi casi la consulenza psicologica aiuta a gestire le emozioni e i pensieri contrastanti e per certi versi “confusi” che creano il malessere e il disagio. Aiuta a riscoprire e a stimolare le capacità di empowerment, che ci consentono di fronteggiare adeguatamente una determinata situazione, anche estremamente complessa. Aiuta ad acquisire consapevolezza delle proprie abilità e delle proprie competenze, necessaria per riacquistare la fiducia in sé stessi e la propria autostima.

  • Sostegno Psicologico
Il Sostegno Psicologico è indicato per fronteggiare le difficoltà che hanno un carattere specifico e ben delineato. Si tratta di difficoltà che, molto spesso, sono riconducibili ad una causa esterna che genera un forte malessere psicologico: un lutto, una malattia, la perdita del lavoro, il cambiamento del luogo di vita, le difficoltà genitoriali (compresa la difficoltà ad avere figli), una separazione. Sono situazioni in cui si pensa di non riuscire a farcela, di non riuscire a prendere una decisione. Ci si sente bloccati e, di conseguenza, non si agisce. 
Questo tipo di percorso è indicato sia per la persona direttamente interessata dall'evento esterno che ha innescato il malessere, sia per i familiari ugualmente coinvolti nella difficoltà.

  • Psicoterapia
Il percorso di Psicoterapia è indicato per chi vive un profondo malessere, che si esplica in manifestazioni di stati ansiosi, depressivi, stati emotivi fortemente compromessi, profonde difficoltà affettive e relazionali. 
Nel percorso si inizia a percepire chiaramente il proprio valore, i propri sentimenti, le proprie motivazioni. Si osservano le esperienze sociali vissute senza distorsioni. 
Man mano che si esplorano i sentimenti, la percezione di sé stessi diventa più realistica e si acquisisce la capacità di accettarsi per come si è. Senza maschere, senza costruzioni, senza inganni. Si tratta di un processo complesso e profondo, perché riguarda aspetti della personalità dei quali molto spesso non solo si ha difficoltà a comprenderne il funzionamento, ma a volte non si è consapevoli nemmeno della loro esistenza (leggi di più).
 
Ricevo a:
  • Firenze, Via XX Settembre n. 40
Tel: 370 3090715  - www.carmenfurci.it

  • Scandicci, presso Ambulatori Rete Pas
Via Bessi 2 - Tel: 055 71.11.11 www.retepas.com

  • On line in video-consulto
Tel: 370 3090715 - www.carmenfurci.it
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Lo studio si è spostato in una nuova sede

9/10/2021

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Un nuovo studio, in una nuova sede. L'attività di supporto psicologico e di psicoterapia continua nella nuova sede in Via XX Settembre n. 40, sempre a Firenze. 

Per info e prenotazioni

Telefono: 370 3090715
Email: carmenfurci@gmail.com
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Chiusura temporanea dello studio

2/6/2021

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Per un breve periodo, lo studio rimarrà chiuso. L'attività riprenderà regolarmente a partire dal mese di ottobre e in un nuovo studio. 

​Per info e contatti: carmenfurci@gmail.com 

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L’impatto del Covid-19 sulla salute mentale. Studio sulla popolazione italiana

14/2/2021

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La pandemia COVID-19  ha avuto un enorme impatto a livello personale, sociale ed economico per la popolazione mondiale. In Europa, l’Italia è stata uno dei paesi in prima linea in un’emergenza che ha colpito in modo significativo la vita delle persone. Precedenti ricerche sull’impatto psicologico della pandemia hanno rivelato un aumento di ansia, depressione e sentimenti di angoscia. L’obiettivo della ricerca  che trovate su Scientific Reports di Nature è stato esplorare gli effetti del COVID-19 e del lockdown sulla salute mentale. A tal fine, il questionario breve che valuta umore e sentimenti (il cd. Short Mood and Feelings Questionnaire) è stato somministrato a un campione casuale, composto da 6700 individui, e rappresentativo dell’intera popolazione italiana. Lo studio è stato condotto subito dopo la fase di lockdown, a giugno 2020, per raccogliere le reazioni immediate alla prima fase dell’emergenza.
I risultati mostrano punteggi più alti di sintomi depressivi nelle donne, nei giovani, nelle persone che incontrano incertezze professionali (perché in cassa integrazione o in disoccupazione) e negli individui con status economico meno agiato. Sintomi di depressione sono stati rilevati anche per gli individui che vivono da soli, e per coloro che non potevano uscire di casa per recarsi al lavoro. In altre parole, nonostante lo stress della condizione lavorativa emergenziale chi ha continuato ad andare a lavorare ha avuto meno probabilità di sviluppare sintomi depressivi e di ansia.
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Ma il fattore più importante che si correla con l’esistenza di stati mentali depressivi è senz’altro quello relativo al manifestarsi di casi di COVID-19 in famiglia.
In tal senso, lo studio sottolinea la necessità di tenere conto delle conseguenze psicologiche della pandemia e dell’isolamento, puntando all’implementazione di un approccio di policy olistico che consideri la salute sia fisica che mentale degli individui.”

Di Marco Delmastro su www.infodata.ilsole24ore.com 
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Covid-19 ed effetti sulla mente: «è un trauma collettivo senza precedenti. Importante il ruolo del corpo».

26/12/2020

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«Ci ritroveremo con molte problematiche psicologiche legate alla sindrome post traumatica scatenata dalla pandemia. Ciò che sta accadendo è del tutto inedito, non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista della salute mentale».
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Quindici massimi esperti di psicologia e psicoterapia si sono dati appuntamento da tutto il mondo a Bologna, ma senza incontrarsi fisicamente, per il convegno "Body and Psychotherapy at the time of Pandemic". Un evento eccezionale che nasce per guardare oltre l'emergenza sanitaria immediata e rispondere a tanti interrogativi importanti legati al ruolo del corpo, a quello della tecnologia, all'importanza del contatto fisico e al superamento di un trauma collettivo paragonabile solo a quello della segregazione dei nativi americani.
Come staremo fra qualche mese? Cosa possiamo e potremo fare per superare questa esperienza? Fra gli studiosi riuniti al tavolo il filosofo Umberto Galimberti; Stephen Porges, uno dei massimi neurofisiologi viventi; da Wuhan il dott. Li Wentian e ancora Vittorio Gallese; Massimo Biondi; Rubens Kignel, Corrado Sinigaglia e Ulrich Sollmann oltre ai "padroni di casa" Maurizio Stupiggia e Rosanna De Sanctis, della Società Italiana di Biosistemica di Bologna. 

Cosa ci è successo all'improvviso? Cosa ci accadrà nella fase successiva? Qualcosa di simile è mai accaduta prima? 

"E' successo che siamo stati improvvisamente catapultati in una nuova era che ha messo a dura prova la nostra connessione con il passato e con il futuro – spiega il Professor Maurizio Stupiggia -. Stiamo assistendo a due rivoluzioni temporali che si sono susseguite una dopo l’altra: una fortissima accelerazione che ha esponenzialmente destabilizzato le interazioni sociali, e ora una imprevedibile riduzione della vicinanza fisica e del contatto corporeo a causa della pandemia da CoVid-19. Durante il congresso ho voluto sottolineare come la situazione pandemica di fatto sia un trauma, in particolare un trauma collettivo: non ne esistono altri coincidenti o simili, visto che guerra e il terrorismo sono tutta un'altra cosa. Il trauma più vicino è quello della segregazione subita dei nativi americani. Anche noi come loro abbiamo subito una segregazione ed è stato interessante sapere dagli psicoantropologi americani come abbiano lavorato per ricostruire il senso di comunità e una sana individualità ricostruendo i legami con gli antenati. E questo coincide con un tentativo quasi spontaneo di tutti noi durante il primo lockdown di ricontattare persone legate alla nostra storia anche molto lontana; un moto spontaneo della ricostruzione del tessuto relazionale che ci permette di essere resilienti di fronte a questo trauma collettivo". 
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Stress traumatico da pandemia: il ruolo della "resilienza". 

Massimo Biondi, dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" ha dimostrato che cosa produce quella che viene chiamata resilienza: «Si tratta di un valore molto importante in questa fase, perché stiamo attraversando e andremo sempre di più verso un periodo di grande stress e soprattutto di stress traumatico, tanto da poter parlare di post-epidemic syndrome». Biondi dunque fa riferimento alla sindrome post-epidemica e analizza il fattore della resilienza, cioè la capacità di far fronte a queste situazioni difficili e mette in luce che dal punto di vista della corporeità è molto importante se noi facciamo pratiche della meditazione, mindsfulness, yoga cioè ciò che ha a che fare con la consapevolezza corporea. Ed ecco che torniamo a quello che dicevano Gallese e Sinigaglia, ovvero che la percezione del nostro corpo e del nostro corpo in azione, produce una capacità di sentire l‘altro, di gestire le relazioni con l’altro e di modularle in un senso ottimale per sé.
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Come Umberto Galimberti ha spiegato l’angoscia e Gallese l’importanza della tecnologia

"L’intervento di Umberto Galimberti si è focalizzato sulla difficoltà di gestire questa situazione traumatica che genera angoscia, ovvero una paura senza nome, senza oggetto né contorni e al successivo tentativo di rendere minacciose delle etnie, altri stati e regioni cercando un nemico che potesse farci passare dall’angoscia alla paura. La paura è infatti più maneggiabile". Spiega De Sanctis, psicologa e psicoterapeuta che riassume così l’intervento del noto filosofo, accademico e giornalista. 
Vittorio Gallese invece, dell’Università di Parma, ha parlato dell'importanza della tecnologia, la quale diventa protesi per costruire ponti relazionali e fare da collegamento fra esseri umani in una dimensione epocale fortemente estetizzante. Il tema dell'aestesis, il processo sensoriale di sensazione estetica quindi: "La tecnologia è interfaccia fra noi e il mondo e plasma il nostro sguardo fra noi e il mondo". 

Gli esperimenti di Corrado Sinigaglia e la percezione attraverso la mascherina 

Corrado Sinigaglia, Università di Milano, nel suo intervento ha mostrato una serie di esperimenti interessanti rispetto alla percezione umana: "Quando gli attori sono per esempio schermati da un plexiglass o da altri schermi che impediscono l'azione, tutto questo modifica la percezione umana e modifica soprattutto la percezione del comportamento e delle intenzioni dell'altro. Perché è importante questa serie di esperimenti? Perché adesso che usiamo tutti la mascherina, che è uno schermo protettivo, noi sappiamo anche sperimentalmente questo ci cambia profondamente la percezione dell'altro. E c'è poi quella tendenza strutturale dell'uomo a non stare troppo lontano dall'altro. Come a dire che se sto troppo lontano dall'altro, non ne percepisco né immagino il mondo interno. Dunque possiamo stare un po' lontani dagli altri, ma poi, a un certo punto l'innata tendenza umana e di avvicinarci”. 
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"Siamo costituiti da batteri e virus per il 40%".

Rubens Kignel, dal Brasile (Universidade de Sao Paulo), ha messo in luce la tendenza a vedere il mondo come totalmente puro e a combattere l’impurità anche in questa pandemia: "Basti pensare all’attenzione all’untore, a sconfiggere il virus". Ma Rubens facendo riferimento a studi di biologia e immunologia mostra come "noi siamo per il 40% composti da virus e batteri e siamo nati addirittura da virus e batterie che quindi noi non possiamo avere questa logica di ricerca ossessiva dell’impurità, ma piuttosto lui cerca di mostrare come la nostra vita sia una ricerca di convivenza con tutte le forme di virus". 
Fra gli interventi più rilevanti del congresso, anche quello di uno dei massimi neurofisiologi viventi, che ha influito in maniera profonda e fondamentale sulla psicoterapia: Stephen Porges, dell'Indiana University. Il suo messaggio principale è stato “safety is the treatment” (la sicurezza è la terapia): dice che noi riusciamo a calmarci, a regolarizzare il nostro metabolismo e a cambiare se ci sente in un ambiente sicuro. Porges stesso ha sperimentato che il terapeuta, quando riesce a costruire delle condizioni di sicurezza e lui stesso si pone come persona degna di fiducia, allora si giunge a una co-corregolazione reciproca e precisa e il paziente va verso il benessere e la guarigione.

Le conclusioni: un confronto utile a tutti e non solo agli addetti ai lavori

«Per gli addetti ai lavori si è trattato di un evento straordinario perché ha raggruppato i massimi esperti del settore, che qui si sono confrontati pubblicamente su questo tema per la prima volta – spiega Stupiggia - Mentre le istituzioni e la stampa si occupano solo dell’emergenza immediata, l’argomento proposto dal convegno viene trascurato sebbene sarà forse, nel proseguo della pandemia e anche dopo, la questione di maggior rilievo.  Ci ritroveremo infatti con molte problematiche psicologiche legate alla sindrome post traumatica scatenata da questa pandemia. Ciò che sta accadendo è infatti del tutto inedito, non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista della salute mentale. I terapeuti non avevano mai affrontato una emergenza tale, che richiede prospettive e strumenti totalmente nuovi».
De Sanctis ha fatto il punto sulla fruizione del seminario da parte di un target non medico, non specialistico, generalista ma altrettanto interessato: «Anche per i non addetti ai lavori è stata un’opportunità perché sono state spiegate in maniera chiara e comprensibile le dinamiche che stanno alla base di una serie di reazioni emotive e comportamentali che viviamo quotidianamente.  I relatori cercheranno di spiegare l’impatto che questa esperienza collettiva e planetaria ha su di noi, e offriranno anche strumenti praticabili di cura di sé e del proprio ambiente di vita». 
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Il parterre dei relatori internazionali presenti al convegno online 

Ozden Bademci, Maltepe University, Istanbul; Massimo Biondi, Università di Roma; Fabio Carbonari, Istituto Reich, Roma; Genovino Ferri, New York Academy of Sciences; Umberto Galimberti, Università di Venezia; Vittorio Gallese, Università di Parma; Gabriel Graca de Olivera, Universida de Brasilia; Herbert Grassmann, Parkmore Institute, Johannesburg; Rubens Kignel, Universidade de Sao Paulo; Patrizia Moselli, Società Italiana di Analisi Bioenergetica; Stephen Porges, Indiana University; Frank Rohricht, London University; Corrado Sinigaglia, Università di Milano; Ulrich Sollmann, Shanghai University; Li Wentian, Wuhan Mental Health Center; Giovanni Stanghellini, Università di Chieti. 

Chi sono Rosanna De Sanctis e Maurizio Stupiggia

Entrambi presiedono il congresso ed entrambi ne sono moderatori. Tanti i punti di contatto fra loro, uno su tutti la Società Italiana di Biosistemica di Bologna.  Rosanna De Sanctis. Psicologa, libera professionista. Presidentessa di Associazione di iDee di Bologna; didatta presso la Società Italiana di Biosistemica di Bologna e trainer per insegnanti, educatori, psicologi e supervisori.
Maurizio Stupiggia. Psicoterapeuta ad orientamento corporeo, ha integrato nel corso degli anni l’approccio sistemico-familiare con il lavoro terapeutico sul corpo. Insegna alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano. È direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Biosistemica di Bologna, opera in diversi Paesi d’Europa, in Giappone e America Latina. Ha pubblicato numerosi articoli e libri tradotti in varie lingue.

Di Erika Bertossi su www.bolognatoday.it

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Le sette regole per combattere l’ansia da limbo durante il Coronavirus

17/11/2020

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La seconda ondata di Covid e l'incertezza per il futuro stanno causando nuove forme d'ansia dovute al senso di sospensione del tempo. Gli specialisti avvertono: "l'antidoto più forte è impegnarsi in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui, attraverso il rispetto delle norme sanitarie".
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In questo periodo di sospensione, con l’avvio della seconda ondata di Covid, sta emergendo un nuovo tipo di disagio a livello psicologico: l'ansia da "limbo".
È un disagio che si inquadra tra gli effetti psichici indiretti del Covid-19, ma non è un'ansia generalizzata: è un'ansia specifica, da sospensione del tempo, che aumenta il malessere psichico al di là delle ricadute sociali ed economiche, con risvolti che vanno dalla difficoltà di concentrazione allo spaesamento, fino ai disturbi del sonno.
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“In relazione al Covid, una malattia virale che desta preoccupazione e angoscia perché non ha un trattamento specifico e per tutto il clamore mediatico che suscita, la sospensione del tempo è percepita da chi attende l’esito del tampone, di fare il test o la fine della quarantena, come un'attesa alterata e dilatata, apparentemente infinita”, spiega Massimo Di Giannantonio, presidente SIP e professore di Psichiatria all’Università G. D'Annunzio di Chieti-Pescara.
“Vediamo ogni giorno sempre più persone che subiscono passivamente l'attesa, che diventa una sorta di alibi per attuare un atteggiamento rinunciatario, passivo, che moltiplica i problemi – continua Di Giannantonio – Mentre ne vediamo altre insofferenti che reagiscono in modo aggressivo, a volte violento, altre ancora che tentano di non tenere conto delle limitazioni pagandone le conseguenze, anche legali".
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"Se sono presenti sintomi di tipo depressivo e ansioso la sospensione del tempo dell'attesa di un possibile evento negativo aggrava l’intensità dell'ansia” spiega Enrico Zanalda, co-presidente SIP e direttore dell'Dipartimento di Salute Mentale dell'ASL Torino 3.
L'ansia anticipatoria è un disturbo potenzialmente presente nel 5% delle persone che attendono un referto diagnostico, ma l'ansia di attesa da Covid è molto più frequente.
Nel dopo-lockdown si sono registrate moltissime diagnosi di disturbo post traumatico da stress, per questo è necessario imparare a gestire il proprio benessere psichico in questa fase d'attesa. “L'antidoto più forte è impegnarsi in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui, attraverso il rigoroso rispetto delle norme sanitarie, che ci consente di guardare al futuro", concludono gli esperti, che hanno definito 7 regole per contrastare l'ansia da limbo. 
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1 - Condividere le proprie emozioni e preoccupazioni;
 
2 - Informarsi scegliendo canali appartenenti a fonti istituzionali;
 
3 - Mantenere una continuità con la routine delle proprie abitudini nel rispetto delle regole sanitarie;
 
4 - Ritagliarsi uno spazio personale in cui è possibile leggere e ascoltare musica;
 
5 - Scegliere una alimentazione sana ed eseguire esercizi di rilassamento;
 
6 - Utilizzare strumenti social per scongiurare vissuti di solitudine e isolamento;
 
7 - Nel caso in cui l'ansia da limbo crei un disagio cronico e costante, contattare uno specialista;

Tratto da www.tg24.sky.it
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Toscana, l'allarme della psicologa: "Rischiamo un'onda lunga di depressione"

31/10/2020

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Maria Antonietta Gulino, presidentessa dell'Ordine degli psicologi della Toscana, è preoccupata: "Stavolta non possiamo solo dire alle persone di stare a casa, c'è un disagio che va combattuto"
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“Stavolta non possiamo solo dire alle persone fate la pasta o i dolci, dedicatevi alle pulizie, fate quello che non avete mai fatto ma state a casa. Magari in smart working e con due figli da gestire in 60-70 metri quadri. Le persone stanno male e la pandemia oltre a essere sanitaria ed economica è già da tempo psicologica. E lo sarà sempre di più”. A lanciare l’allarme è la dottoressa Maria Antonietta Gulino, presidentessa dell'Ordine degli psicologi della Toscana. “State a casa” è l'invito che è tornato ad essere pronunciato dagli scienziati e dalle istituzioni in queste settimane. Per limitare il più possibile le occasioni di contagio e cercare di contenere il virus.
Una condizione, questa, già sperimentata prima dell’estate, durante il lockdown. Ma che, complice la ripresa vigorosa del virus e la sovrapposizione con la stagione influenzale, si sta facendo di nuovo spazio. Come fare allora per mitigare le influenze negative di quella che certo non è “una condizione naturale”? “Siamo in una fase diversa dell'epidemia e del nostro stato d'animo. Non c’è un'unica ricetta - spiega la psicologa - bisogna incentivare le persone da un lato a essere responsabili, rispettando le norme che garantiscono la sicurezza della comunità e la nostra, in quanto membri della comunità stessa (gel, mascherine e distanziamento). Mentre dall’altra bisogna stimolarle a coltivare, in una dimensione nuova che è quella digitale, la loro parte relazionale, sociale”. Un esempio? “Giocare a burraco online, in videochiamata con gli amici, se si era abituati a farlo prima. Magari guardare lo stesso film e poi discuterne in chat tutti insieme. Dedicarsi a progetti e idee creative, che ci aiutino a non rendere tutte uguali le giornate”. “Ovviamente - avverte la dottoressa Gulino - la relazione digitale non potrà mai sostituire quella in presenza. Ma si tratta di una soluzione provvisoria”.  “E - continua - da questo discorso sono escluse le persone più fragili e quelli che in prima linea fronteggiano il Covid-19: ovvero medici, infermieri e operatori sanitari. Per loro c’è bisogno di maggiore supporto e assistenza psicologica. E subito. Per evitare, in futuro, di incorrere in traumi difficili da curare e in grado di creare un'onda lunga di grande depressione psicologica”. 
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Perché se il primo stop di marzo, ha generato nei cittadini “grossa ansia, attacchi di panico e paura che in molti hanno somatizzato, chi con cefalee chi con altri malesseri” adesso i nemici si chiamano “rabbia” e “depressione”. “Rispetto ai mesi scorsi paura e ansia sono sentimenti che stanno sullo sfondo. Ora c’è molta più confusione, anche ingenerata dai continui cambi di regole a cui siamo sottoposti, e molta incertezza. Soprattutto economica e per il futuro. Abbiamo poi accumulato un certo tipo di vissuto e una stanchezza di cui portiamo il peso”. 
Non a caso, questa estate, in Toscana come nel resto d'Italia la richiesta di supporto e sostegno psicologico è aumentata, come mai prima d’ora. “Ma non tutti possono permettersi la psicoterapia privata. Specialmente quelle fasce di popolazione che ne avrebbero più bisogno ma devono fare i conti con i contraccolpi economici della pandemia” ricorda Gulino che lancia un appello alle istituzioni regionali e nazionali: “I nostri servizi territoriali sono sotto organico da tempo. Oltre a medici, infermieri e operatori sanitari reclutiamo anche psicologi”.

Di Carmela Adinolfi su firenze.repubblica.it 
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Non c’è salute, senza salute psicologica

10/10/2020

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La pandemia COVID19 ci ha trascinati in una condizione di emergenza sanitaria, economica e sociale senza precedenti.
In questo nuovo e fino a poco tempo fa inimmaginabile contesto, risulta sempre più centrale la dimensione psicologica della vita.
La salute psicologica, anche in una città come Firenze, rappresenta infatti una parte essenziale del più ampio diritto alla salute che, come tale, andrebbe tutelato nella sua globalità.
È fondamentale a tal fine riconoscere e valorizzare il ruolo della psicologia nei contesti di vita quotidiana: una professione capace di intervenire non solo sulla patologia ma anche e soprattutto nella prevenzione del disagio e costruzione del benessere.
Riporto di seguito questo interessante video del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi per la Giornata Nazionale della Psicologia
 
                                                                                                       Carmen Furci, Psicologa

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